Rassegna
cineBabel
Dal 7 settembre al 9 ottobre, è tornata con un omaggio a Laurent Cantet la rassegna cineBabel, curata dal Circolo del cinema di Bellinzona in collaborazione con il Circolo del cinema di Locarno, Luganocinema93 e il cineclub del Mendrisiotto. Giovedì 12 settembre, per la consueta serata pre-apertura di Babel, al Cinema Forum di Bellinzona è stato proiettato Ouistreham (Tra due mondi) di Emmanuel Carrère.
In memoria di Laurent Cantet (1961-2024)
La morte prematura, a 63 anni, di Laurent Cantet ha sorpreso un po’ tutti quelli che hanno amato il suo cinema impegnato e ha lasciato sgomenti anche noi dei cineclub ticinesi, che lo seguivamo con particolare empatia. Già prima che diventasse un autore internazionalmente riconosciuto, il Circolo del cinema di Bellinzona e LuganoCinema93 avevano inserito il suo Les sanguinaires (1997) nella rassegna “Il 2000 visto da…” del 1999. Poi, dopo la consacrazione con la Palma d’oro a Cannes nel 2008 per Entre les murs, i circoli di Bellinzona e Locarno avevano proposto Ressources humaines (1999) nella rassegna “La fabbrica incerta” del 2011, e tre anni dopo, per “cineBabel Caraibi”, Vers le sud (2005).
Perciò, quando Babel ci ha annunciato il tema dell’edizione 2024 (la Francia, con particolare attenzione a scrittori impegnati sul piano sociale), ci è sorto spontaneo il desiderio di dedicare cineBabel alla memoria di Laurent Cantet, regista sempre attento a esplorare con spirito “rosselliniano”, politico ma mai ideologico, le contraddizioni della modernità.
Quel che importa qui sottolineare è la visione che Cantet ha sempre avuto sulle realtà che ha voluto indagare, che siano quelle del mondo del lavoro (Ressources humaines, ma anche L’emploi du temps), del turismo sessuale in falsi paradisi esotici gestiti da una spietata dittatura (Vers le sud), della scuola multietnica (Entre les murs) o degli inquietanti e più che mai attuali rigurgiti di estrema destra in Occidente (L’atelier, Arthur Rambo): uno sguardo, il suo, scevro da pregiudizi ideologici ma sempre criticamente attento a far emergere la complessità delle situazioni in cui degli individui si trovano a dover affrontare meccanismi sociali marcati da palesi ingiustizie. In tutti i suoi film i personaggi si ritrovano soli nel tentativo di trovare un’identità umana costantemente soffocata da una società tesa solo al profitto e al potere. Qualcuno ha definito Cantet il Ken Loach francese, per la determinazione con cui si è sempre battuto per denunciare le perversità del mondo moderno. Al di là delle etichette, il regista rimane nei nostri cuori per la sua costante umanità civile, per la sua capacità di interrogarsi e di interrogarci sulle nostre possibilità di essere e rimanere umani in questi tempi per nulla rassicuranti.
Prima di morire Cantet stava lavorando a un nuovo film, L’apprenti. Probabilmente non lo vedremo mai, a meno che i suoi fedeli collaboratori (il regista, co-sceneggiatore e montatore Robin Campillo, il direttore della fotografia Pierre Milon) siano in grado di portarlo a termine.
Michele Dell’Ambrogio, Circolo del cinema Bellinzona
Ingresso: CHF 12.-/10.-/8.-/6.-/studenti gratuito
I FILM
RESSOURCES HUMAINES
RISORSE UMANE
Francia 1999
Sceneggiatura: Laurent Cantet, Gilles Marchand
Fotografia: Matthieu Poirot-Delpech
Montaggio: Robin Campillo, Stéphanie Leger
Interpreti: Jalil Lespert, Jean-Claude Vallod, Chantal Barré, Véronique de Pandelaère, Michel Begnez, Lucien Longueville, Danielle Mélador…
Produzione: La Sept-Arte/Haut et Court
Colore, v.o. francese, st. it, 100’
Il figlio laureato (Lespert) fa lo stage nella fabbrica dove il padre (Vallod) è operaio: ci penserà l’introduzione delle 35 ore a far scoppiare tutte le contraddizioni possibili. Attori non professionisti (con l’esclusione di Lespert) diretti da un ex documentarista al suo esordio nel lungometraggio, uno spaccato sulle contraddizioni della modernizzazione che si trasforma in uno studio antropologico sui mutamenti generazionali. Un cinema come sarebbe piaciuto a Rossellini: didattico ma non pedante, politico ma non fazioso, moderno ma non intellettuale. E che obbliga lo spettatore a riflettere più che a schierarsi.
È di fatto l’esordio di Cantet, che vince un César e un Louis-Delluc per la miglior opera prima con un film soffocante, nel quale la lotta di classe è avvolta in risonanze edipiche. Un confronto tra padre e figlio originato dall’affetto, dall’orgoglio di ogni operaio che vuole il figlio dottore, che si ritrova catapultato nella spietata logica di un riassetto industriale che abbatte, umiliandola, la generazione precedente. Il tutto in equilibrio sul filo sottile di un paradosso, quello per cui dimostrare la propria realizzazione sociale tramite l’affermazione del figlio provoca la cancellazione dal tessuto produttivo. Perché si può avere lo stesso sangue ma appartenere a due classi differenti. In questo la tragedia allestita da Cantet supera il concetto di classicità e diventa ironicamente moderna. Un moderno tuttavia non più attuale, in questo preciso momento storico, benché una certa produzione francese (Brizé, Gravel, Carrère regista), insieme a ciò che resta di Ken Loach, sia tra i pochissimi a porsi ancora il problema. In Risorse umane gli operai vivono ancora in simbiosi con le macchine su cui lavorano, considerandole un po’ anche loro. Sono trascorsi solo 25 anni ma pare un’era geologica, perché i proletari, esseri mutanti, sono ora diventati riders e corrieri, ma Sofocle continua a blandire Marx nel suo drammatico abbraccio. (Giampiero Frasca)
L’EMPLOI DU TEMPS
A TEMPO PIENO
Francia 2001
Sceneggiatura: Robin Campillo, Laurent Cantet
Fotografia: Pierre Milon
Montaggio: Robin Campillo, Stéphanie Leger
Musica: Jocelyn Pook
Interpreti: Aurélien Recoing, Karin Viard, Serge Livrozet, Jean-Pierre Mangeot, Nicolas Kalsh…
Produzione: Haut et Court
Colore, v.o. francese, st.it, 133’
Per nascondere alla famiglia di essere stato licenziato, un consulente aziendale (Recoing) finge di avere un prestigioso impiego all’Onu di Ginevra, diventando un impostore “a tempo pieno”: costretto a procurarsi dei soldi, dapprima truffa gli amici, poi si mette con un faccendiere (Livrozet) che contrabbanda merci contraffatte.
Il 9 gennaio 1993 Jean-Claude Romand sterminò la famiglia che aveva ingannato per una vita intera, dopo averla indotta a credere di essersi laureato in medicina decenni prima e di lavorare come medico all’OMS. Con Robin Campillo, co-sceneggiatore e montatore del film, Cantet si ispira assai liberamente a questo atroce e surreale “fait divers” (che ispirerà anche un bel film di Nicole Garcia), eliminando l’aspetto patologico e mostruoso e privilegiando soltanto la doppia vita e l’attitudine sistematica a mentire di Romand, che diviene Vincent, un consulente d’affari licenziato dalla sua azienda e quindi deciso a inventarsi un’esistenza immaginaria con un impiego all’ONU di Ginevra. Cantet evoca quindi la vita vuota di un disoccupato che rifiuta di accettare la propria situazione, calandola in spazi emblematici (i parcheggi desolati e freddi dove si rifugia; la sua stessa casa, avvolta in un’atmosfera cupa, le montagne svizzere incombenti e oppressive). È la dimensione di una deriva, mentale prima ancora che concreta, in una non esistenza virtuale che, oltre vent’anni dopo, può essere accostata all’allucinata quotidianità reale di una parte della nostra società attuale. (Roberto Chiesi)
VERS LE SUD
VERSO IL SUD
Francia/Canada 2005
Sceneggiatura: Robin Campillo, Laurent Cantet
Fotografia: Pierre Milon
Montaggio: Robin Campillo
Musica: Elisabeth Joinet
Interpreti: Charlotte Rampling, Karen Young, Louise Portal, Ménothy César, Lys Ambroise…
Produzione: Haut et Court/ Les Films Seville/France 3 Cinéma
Colore, v.o. francese, st. it, 105’
A Haiti, verso la fine degli anni Settanta, mature turiste occidentali si accompagnano a giovanotti locali: Ellen (Rampling) fa la cinica, Brenda (Young) le contende il giovane Legba (César) e si convince di innamorarsene; ma a rovinare l’idillio ci pensano gli sgherri del dittatore “Baby Doc” Duvalier.
Verso il sud è ambientato ad Haiti, nel 1979, nel pieno della dittatura di Duvalier figlio e delle repressioni dei Tonton Macoutes. Tutto questo, però, nel film rimane quasi sempre confinato fuoricampo (salvo esplodere nel momento più impensato), perché alla base ci sono tre racconti dello scrittore haitiano Dany Laferrière incentrati sul tema del turismo sessuale. Protagoniste sono tre donne sulla cinquantina (interpretate da Charlotte Rampling, Karel Young e Louise Portal) che si contendono le attenzioni del giovane stallone Legba (Ménothy César). Il corpo diventa quindi merce di scambio: per i giovani haitiani coincide totalmente con il loro valore d’uso (anche se non riesce mai a diventare strumento di riscatto), per le facoltose clienti un bene da sfruttare, un prodotto di cui è anche possibile innamorarsi. Scegliendo come spazi privilegiati del racconto una spiaggia e un resort di lusso, Cantet crea qui una sorta di piccola utopia coloniale, destinata inevitabilmente a sfaldarsi con l’irrompere improvviso della Storia. E della sua violenza. (Alberto Libera)
ENTRE LES MURS
LA CLASSE
Francia 2008
Sceneggiatura: Robin Campillo, Laurent Cantet, François Bégaudeau (dal libro di quest’ultimo)
Fotografia: Pierre Milon, Catherine Pujol
Montaggio: Robin Campillo, Stéphanie Leger
Interpreti: François Bégaudeau, Esmeralda Ouertani, Franck Keïta, Angélica Sancio, Rachel Régulier, Wei Huang…
Produzione: Haut et Court/France 2 Cinéma
Colore, v.o. francese, st. it, 128’
Un anno di insegnamento di François Marin (Bégaudeau), professore di francese nella IV classe di collège in una scuolaó multietnica del ventesimo arrondissement di Parigi, alle prese con i problemi didattici, la disaffezione dei colleghi e i caratteri degli alunni, dalla rabbia isolazionista di Souleyman (Keïta) allo spirito polemico di Khoumba (Régulier) e ai problemi con l’immigrazione dei genitori di Wei (W. Huang).
L’opera che ha consacrato Cantet come uno dei maggiori autori del cinema francese contemporaneo, Palma d’oro a Cannes e soprattutto il film sulla scuola con cui tutti i film sulla scuola – ancora oggi – devono confrontarsi. Entre les murs, titolo originale sia del film sia del romanzo da cui è tratto, significa “fra le pareti” e dice già molto dell’idea di scuola che Cantet insieme a Robin Campillo e François Bégaudeau – autore del libro e protagonista del film nei panni di se stesso, un professore di lettere di scuola media – avevano in mente scrivendo la sceneggiatura. Ovvero un racconto letteralmente imprigionato all’interno di un edificio scolastico – un istituto del XX arrondissement di Parigi, periferia est della città – e di una classe quarta del Collège (con studenti di 14/15 anni) multirazziale e un po’ complicata, ma non più di qualsiasi altra. Filmando camera a mano, in stile dardenniano e senza una vera e propria trama, Cantet riesce nell’impresa di dire qualcosa di vero sulla scuola di oggi, di mostrarla com’è, con un realismo e una naturalezza da lasciare sbalorditi. Fra lezioni, consigli di classe, riunioni e colloqui con i genitori, la prospettiva coincide sempre e solo con quella del prof di lettere, ma riesce a dare uno spaccato estremamente sfaccettato e complesso della società (non solo dei teenager) francese di inizio millennio. Capolavoro! (Lorenzo Rossi)
L’ATELIER
Francia 2017
Sceneggiatura: Robin Campillo, Laurent Cantet
Fotografia: Pierre Milon
Montaggio: Mathilde Mujard
Musica: Edouard Pons, Bedis Tir
Interpreti: Marina Foïs, Matthieu Lucci, Warda Rammach, Issam Talbi, Florian Beaujean, Mamadou Doumbia, Julien Souve, Mélissa Guilbert, Olivier Thouret, Lény Sellam, Charlie Bardé, Marie Tarabella, Youcef Agal…
Produzione: Archipel 35/France 2 Cinéma
Colore, v.o. francese, st. it, 113’
La Ciotat, sud della Francia, estate. Antoine (Lucci) frequenta un corso di scrittura sul romanzo giallo tenuto dall’autrice parigina Olivia Déjazet (Foïs) ma sembra insofferente davanti a qualsiasi critica. La visita ai cantieri navali di La Ciotat, una volta floridi e oggi in crisi, sono usati da Antoine per estrinsecare la sua rabbia, orgoglioso di professare idee di estrema destra…
A La Ciotat, sud della Francia, Cantet e Campillo tornano alle origini: del cinema, dove tutto era cominciato con l’arrivo del treno alla stazione ripreso dai Lumière; della storia operaia francese, nei cantieri navali un tempo teatro di battaglie sindacali; e del loro stesso lavoro, che ha spesso avuto nell’atelier il punto d’inizio (Risorse umane, La classe o Foxfire, ad esempio, sono tutti nati da un lungo lavoro preparatorio in laboratori di recitazione). Con un occhio a Les Innocents di Téchiné, girato negli anni ’80 nella vicina Tolone e attraversato da una feroce violenza emotiva e politica, il film usa l’attrazione tra una famosa scrittrice parigina (Marina Foïs) impegnata in un corso di scrittura e uno dei suoi allievi, un ragazzo membro di un gruppo d’estrema destra (a interpretarlo è lo straordinario Matthieu Lucci, scelto proprio al termine di un lungo atelier…), per far emergere le ferite della provincia francese: un mondo ormai orfano della classe operaia, a cui è rimasta la guerra di recriminazioni con la città come unico sbocco identitario, tra gli istinti fascistoidi dell’adolescente e le illusioni dell’intellettuale progressista. (Roberto Manassero)
ARTHUR RAMBO
Francia 2021
Sceneggiatura: Fanny Burdino, Laurent Cantet, Samuel Doux
Fotografia: Pierre Milon
Montaggio: Mathilde Mujard
Musica: Marie Sabbah, Raphaël Vinzant
Interpreti: Rabah Nait Oufella, Bilel Chegrani, Antoine Reinartz, Sofian Khammes, Sarah Henochsberg, Malika Zerrouki, Zineb Triki, Anaël Snoek, Leila Fournier…
Produzione: Les Films de Pierre/France 2 Cinéma/ Memento Films Production
Colore, v.o. francese, st. it, 87’
Karim D. è un giovane astro della letteratura. Di origine maghrebina, ha raggiunto la fama mediatica raccontando la storia di sua madre, un romanzo che tutti leggono, che tutti approvano e che sarà presto un film. Ma la notte della consacrazione il passato ritorna come uno schiaffo. La colpa è del suo “doppio malefico”, Arthur Rambo, lo pseudonimo con cui da adolescente ha twittato cose ignobili. Il tempo di un click e la sua seconda identità è rivelata. Debutto e fine coincidono per Karim. Giudicato moralmente dai tribunali della borghesia e da quelli delle banlieue, dove vive con sua madre e suo fratello, cominciano per lui giorni confusi e notti erranti.
Rimontando a una storia di cronaca molto nota in Francia, Cantet – per quello che diventerà il suo ultimo film – sceglie di girare un quasi polar destinato a non avere molto successo. Cupo, teso, a tratti quasi frenetico nel suo incedere, Arthur Rambo, attraverso la storia di un giovane scrittore di origine algerina messo alla gogna per la sua precedente attività social omofoba e razzista, mette in campo i temi della libertà di espressione al tempo dei social network consegnando al giovane Rabah Nait Oufella il compito di incarnare la schizofrenia, o meglio le schizofrenie, della contemporaneità. Retaggi del confronto di classe, conseguenze della repentina e incontrollata esposizione ai tribunali mediatici e sociali, acclamazione e condanna, omologazione e alterità riflettono la violenza serpeggiante e incontrollata di un reale sempre più infiltrato e riscritto dai media, di cui Cantet capisce le profonde contraddizioni. La volontà forse un po’ programmatica di sospendere il giudizio sembra però non consentire al film di trovare il respiro al quale il suo cinema ci ha abituato. (Redazione)